Ivano Fossati, il mio adorato secondo

Fossati per me è stato sempre il secondo. Un ottimo secondo, per carità, non pensate a un totocutugno a Sanremo. Però confrontato con il primo e unico, ossia Fabrizio De André, secondo è sempre restato.
Il che è un bene. Non ho mai avuto nei suoi confronti quel timore reverenziale del guru (l’unico, nella mia vita di no-groupie) quello che mi ha impedito, la volta che avrei potuto, di conoscere di persona De André. Giammai, il mito doveva restare tale, non ce l’ho fatta, poi lui se n’è andato e io sono ancora qui che mi pento e ripento.
Fossati l’avrei conosciuto eccome. Anzi, a sedici anni, quando l’ho scoperto con La Pianta del tè, ne ero molto innamorata. Meditavo, dopo il concerto genovese, di fuggire da casa per raggiungere le inebrianti lontananze di Chiavari, vedere un secondo concerto, infilarmi nel suo camerino e pregarlo di prendermi con sé come sua musa. Sogno mai realizzato perché inibito dalla brava bambina che ero – di notte! A Chiavari! Da sola! Con il treno! – eccetera eccetera.
(Poi del perché un’adolescente ascoltasse solo Fossati e De André e meditasse fughe romantiche con un allora quarantenne nemmeno troppo attraente, ne parliamo un’altra volta).
Comunque, la folgorazione avvenne ancora prima, con con Una notte in Italia. Per un compleanno avevo ricevuto l’agognato Cubo Sony, il primo passo verso l’indipendenza (uno stereo solo mio in camera. Non in sala, alla mercé di tutti, zittito dalla televisione) e quando andavo a dormire mettevo le cuffie e ascoltavo la radio. Una notte in Italia passava a quelle ore antelucane, ma passava. Nel buio, nel silenzio, l’ascoltavo con il fiato sospeso: Questo quarto di luna, questo taglio di luna freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna /la fortuna di vivere adesso questo tempo sbandato, questa notte che corre e il futuro che arriva chissà se ha fiato.
Già a quell’età me lo chiedevo, se quel futuro che doveva arrivare avrebbe avuto fiato (ero riflessiva, cosa ci volete fare). E la malinconia di quel vino bevuto e pagato da soli alla nostra festa che ancora ritorna tutte le volte che mi aspettavo qualcosa da qualcuno ma poi ecco, non è arrivata e allora tanto vale me la faccio da sola. Per tacere delle centinaia di idee che sono andate a morire senza farmi un saluto, magari era giusto così perché probabilmente geniali non erano, però questo cimitero delle idee a vent’anni non mi pesava, adesso inizia a.
Per fortuna che poi a farmi sorridere arrivava Buontempo: Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra, da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra. Tu vestiti come un angelo che giri per la terra, fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me.
E io confesso di averci proprio provato a fare l’angelo caduto sulla terra, ma avevo quattordici anni, ero vestita di azzurro e blu (che a Genova, insieme al grigio e al verde loden, è quanto di più colorato ti possa permettere), forse chissà perché se ci penso mi sembra Pasqua e probabilmente era un giorno di tramontana gelido e turchese, occhio al voletto lirico, stop.

Poi, La pianta del tè, ecco. La sua foto barbuta e pensosa in copertina, i primi concerti, l’amou fou. A due anni dalla maggiore età, sentirlo cantare Lui si guarda intorno e non ha già più terra dove andare. E a diciott’anni un lavoro non lo cerca più, a diciott’anni un lavoro che gli serve a fare, se si guarda intorno e non ha già più terra dove andare.
Ecco, parlava a me, già soffocata da Genova ma con il terrore di abbandonarla, di far morire i gerani (perché Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare
quindi non stia lì ad aspettare, di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più, di quei gerani che la gioventù fa ancora crescere nelle strade.)
E poi il primo traghetto per la Corsica con il cappello di paglia a fare la Signora del Ponte Lance, a vedere la Francia che se ne va (il cappello che ammorba decine di foto estive, però, va detto, non era colpa di Fossati. Era colpa di Ci sta mia figlia che ha quindici anni e a Parigi ha comprato un cappello).
La tristezza per quel bel mare di Lombardia (quanti pianti, anni dopo, sul mare di Lombardia che cresce sopra i muri come seminato a grano, quando stavo a Milano ma mi mancava Genova ma a Genova sarei morta di noia e mi sentivo in ogni posto slightly out of focus, ma ancora non lo sapevo) e poi vabbè lacrime e sangue adolescenziale sulla Costruzione di un amore che se non fosse di Fossati direi mioddio come l’ha presa male questo, invece dev’essere la sobrietà genovese, ma niente in lui mi sembra mai esagerato, quando canta è tutto credibile e ancora frigno su Dietro una porta un po’ d’amore per quando non ci sarà tempo di fare l’amore, per quando vorrai buttare via la mia sola fotografia.

E quindi a ritroso a scoprire i pezzi incisi quando ero troppo piccola per, il mantra della mia vita - E sembravo qualcuno in un altro posto ma stavo ancora là – e quei motivi di un uomo che non sono mai belli da verificare. Tutti i miei traslochi imprescindibili da E di nuovo cambio casa, di nuovo cambiano le cose, di nuovo cambio luna e quartiere, perché, arrivano di nuovo gli orgogli tardoadolescenziali del mondo che non capisce, di tutti gli altri che vanno in autostrada contromano, Cambio posto e chiedo scusa, ma qui non c’è nessuno come me. E la resa definitiva, incontrollata, della prima convivenza:  Ehi come stai sapore amaro di appuntamenti a cui mancavo, di pensieri sempre i più buoni, cancellati dalle intenzioni. Estate di corsa, temporali d’agosto e poi cambiare ad ogni costo. Ehi come stai, sapore amaro di una fine sicura, perché so, perché lo so: di tanto amore morirò.

E ricordarmi che La mia banda suona il rock la sentivo in quinta elementare, grazie al compagno di scuola che portò una musicassetta del fratello grande; mi piaceva la musica, la trovavo allegra, il testo sembrava così facile, questi che si addormentano alla stazione, le zanzare che danzavano. Poi risentirla in concerto con un arrangiamento stravolto, proprio quell’estate in cui trionfava nelle discoteche, lui: “Qualcuno ha trovato questa canzone e me l’ha sbattuta in faccia. Allora facciamola, ma come dico io”.
Ah, il sublime understatement genovese! Ah l’attitudine da torta di riso è finita, modello sei qui a sentirmi, paghi, ma ho un po’ di scazzo, non lo nascondo, e se non ti piace, te ne vai. E pensare che una volta, quando già vivevo a Milano, sono pure andata a sentirlo alla Villa Reale di Monza. Figurarsi, io che a Milano, priva della rassicurante liturgia davanti c’è il mare, dietro c’è il monte, di qua c’è Nervi, di là Savona, mi perdevo sotto casa (tuttora), in era pre-navigatore, ho preso la mia Ka rossa e sono arrivata a Monza a farmi mangiare dalle zanzare di luglio. Cosa può l’amore.

E sempre nella sublime ottica del questa l’ha scritta per me, il fastidio da unghie sulla lavagna di Lunaspina, proprio quando studiavo e lavoravo dai miei, sotto casa, in un posto che non amavo a fare cose che non volevo e non capivo: Ho un lavoro qui vicino e il mio lavoro non mi piace perché mi consuma gli occhi  e poi mi mangia le giornate, e in tutto questo non vedere in tutto questo non ricordare in tutto questo non amare, io sono qui che vivo, con la speranza (labilissima) del riscatto finale: Eh no, eh no, eh no, eh no, io ne avrei terre da sognare, ne avrei di voci da seguire, io non è vero che aspetto. Eh no, eh no, eh no, eh no io non ho lettere da spedire, ne avrei parole da imparare per non cantarle sola. E queste terre da sognare, voci da inseguire, insieme a Sally di De André forse mi hanno aiutato ad andarmene.

Poi lui continuava a crescere e io pure, non abbastanza però da smettere di pensare che ogni canzone fosse in qualche modo per me. E di convincere il fidanzatino dell’epoca ad andare a mangiare la pizza a Leivi, sulle alture di Chiavari, dove Fossati viveva, nella speranza di incontrarlo per caso (il destino, no? Mai successo ovviamente. E non so se vi rendete conto, ma partire dalla periferia del ponente genovese per una pizza sulle alture di Chiavari, per un genovese che se non è sottocasa è lontano, ha del miracoloso. Ora che ci penso, qualche cosa mi è riuscita di chiederla agli uomini e ottenerla: una pizza a Leivi per non incontrare Fossati).

Ho consumato Discanto e Lindbergh sentendomi Piumetta che gira i tarocchi E se saranno carte brutte, venga la morte ultima di tutte, ho spasimato su Unica rosa dedicata alla molto comprensiva moglie Gildana che, mi dicevo, avrà pure in testa più corna di un cestino di lumache, come si dice dalle mie parti, ma guarda che canzone che si ritrova. Poi con gli anni, seguendo il triste percorso delle donne che diventano madri, insieme a quote sostanziali del mio budget abbigliamento ho trasferito in blocco a mia figlia anche il senso di Unica rosa, ma vabbè. Tutti i tempi vegnian, basta saveili aspetà, diceva mia nonna, e dio se aveva ragione.
Ho pianto sugli Italiani d’Argentina – file di denti al sole – pensando che, se mio bisnonno non avesse a suo tempo detto a mio nonno, già con i passaporti in mano, “Cosa ti credi, che in Argentina leghino le viti con le salsicce?” lui non si sarebbe mai fermato a Genova, mia madre non avrebbe mai conosciuto mio padre e il resto a ruota. Ho trovato il mio epitaffio in Passalento: Vele ancora tese, bandiera genovese, sono io. Mi sono anche infastidita, certo, per la marcetta della Canzone popolare, ma se nello stesso album c’è la sua versione del Disertore di Vian che tutte le volte dal vivo mi da i brividi (d’accordo, funzionava di più da adolescente, ma Che vengano a spararmi, io armi non ne ho, zum zum, me la canto sempre a squarciagola) e pure Lindbergh, cosa gli vuoi dire? E poi i due live, straconsumati, con dentro quella roba superba di Carte da decifrare che è talmente perfetta da farmi pure dimenticare (solo a tratti, ammetto) che è probabilmente dedicata a Nancy Brilli. Chissenefrega, se un uomo riesce a dire Se fossi un vero viaggiatore t’avrei già incontrata e a ogni nuovo incrocio mille volte salutata. Se fossi un guardiano ti guarderei, se fossi un cacciatore non ti caccerei. Se fossi un sacerdote, come un’orazione, con la lingua tra i denti ti pronuncerei, se fossi un sacerdote come un salmo segreto, con le mani sulla bocca ti canterei
e ti lascia lì, tra l’incazzatura che non l’abbia scritta per te (però, forse, sicuro sicuro?) e lo stupore abbacinato del ma vedi che se s’impegnano, qualcosa esce fuori?
Macramè, con quel suo titolo bellissimo arabo e genovese, ha segnato uno spartiacque. Ho adorato l’angelo e la pazienza: L’amore va consumato va l’amore va accontentato va, la voglia e l’innocenza faranno come si può. L’amore va trasudato va l’amore va comandato va, l’angelo e la pazienza s’accordano come si può.
E quella sua urgenza amorosa così bella: Io non ti voglio parlare, parlare ma fra le ginocchia salire. Io non ti voglio sfiorare, sfiorare io ti voglio amare.
Mi fa sempre (più) male al cuore ascoltare l’orologio americano: L’amore dura quel che deve durare, consacrato e misurato da un orologio elementare (…)
Perché è così che la gente vive, perché è questo che la gente fa. Perché è così che ci si insegue per un morso di immortalità, è il meccanismo ottuso di un orologio falsoamericano che misura il tempo e tempo non c’è più, ma fermava il tempo se passavi tu.

Però poi mi sono disamorata, sarà stato il periodo in cui le cose non mi parlavano più e nemmeno le canzoni, ma ho trovato La disciplina della terra un’insopportabile sequela di tiritere.
Ora che ci penso lo spartiacque non è stato Macramè, ma Anime Salve, sempre nel 1996, la collaborazione con De André, il mio personalissimo cortocircuito tra il Primo e il Secondo, un album doloroso e meraviglioso dove però la miscela tra i due è come quella fra l’acqua e l’olio, ci sono le canzoni chiaramente di Fossati e quelle chiaramente di De André, esattamente come in Volume Ottavo con De Gregori, e questo mi conforta perché è chiaro che i Primi restano Primi e non si mescolano e fine lì. (Sì, è la mia opinione. Sì, potete non essere d’accordo. No, non cambio idea, ma se ne volete parlare, vi ascolto).

Dopo ho avuto solo qualche folgorazione sporadica, anche se notevole, come la famiglia emigrante di Pane e coraggio che pur nella retorica dell’Italia vista dalla televisione mi ha toccato: Pane e fortuna moglie mia che reggi l’ombrello per riparare. Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare.
E il tempo che ritorna sempre, e uh se era vero che quella volta noi due era meglio parlarci, perché C’è un giorno che ci siamo perduti come smarrire un anello in un prato e c’era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato.
Che fa il paio, per dolorosa rassegnazione delle rose che non colsi e le cose che potevano essere e che non furono, con Siamo stati naviganti con l’acqua alla gola e in tutto questo bell’andare quello che ci consola è che siamo stati lontani e siamo stati anche bene e siamo stati vicini e siamo stati insieme. 

E poi da L’arcangelo, quella Denny che mi ha rifatto incazzare quasi quanto la Brilli di Carte da decifrare: Io fra i tuoi occhi splendenti ci sto perduto nel mezzo. Se accendessi un’altra luce, non la vedrei.
Se vengo a sapere che è per lei pure L’amore fa –  L’amore fa l’acqua buona, fa passare la malinconia crescere i capelli l’amore fa. L’amore accarezza i figli, l’amore parla con i vecchi, qualcuno vuole bene ai più lontani, anche per telefono
sarebbe proprio da andarla a cercare e spezzarle tutti i tacchi delle scarpe, farle diventare i capelli crespi, nutrirla a forza di macarons finché non sfiora l’obesità, e ti voglio vedere poi a illuminarlo con i tuoi occhi.

E poi niente, ora abbiamo letto tutti che Fossati lascia, o meglio lascia il mondo della musica commerciale, vuole fare altre cose, forse non farà più concerti, insomma faccia quello che vuole, se la faccia tutta questa strada, fino al punto esatto in cui si spegne.
A me ha dato musica e testi e frasi e sinestesie e folgorazioni e specchi in cui guardarmi e lacrime e depressioni e malinconie trascinate di domenica pomeriggio per mezza vita.
Adesso posso anche continuare da sola.

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Quasi due anni dopo, un aggiornamento.

36 thoughts on “Ivano Fossati, il mio adorato secondo

  1. Meraviglioso questo pezzo. “Adesso posso anche continuare da sola” è un finale bellissimo anche se mi mette, nn so perchè, un pò di malinconia.

  2. Cara Blimunda, non ti conosco ma ti ho trovata da Mitì.
    Sto cercando di distrarmi dalla vista del Bisagno che esonda, dall’orrore dell’acqua gialla che invade Via Fiume e la nostra città.
    Così sono arrivata qui, tra le pagine di una genovese nostalgica, a leggere questo splendido omaggio a un cantautore che amo tanto anch’io e le tue parole sono come un raggio di sole in questa giornata così buia.
    Grazie per averlo scritto con questo stile e con questo sentimento, grazie dal profondo del cuore.

  3. Graziella e Miss Fletcher, grazie. Ho appena scritto anche dell’alluvione. Purtroppo.

  4. grazie.
    ho ritrovato nelle tue righe sentimenti che ho provato.

  5. Un giorno entra in pasticceria, prende una brioche e mi ordina un cappuccino, si siede e legge, io con la testa faccio un segno a mio papà che lo guarda, e non ha la più pallida idea di chi sia. Io ondivago la testa, senza parlare, ma dicendo guarda che è Ivano Fossati.
    Lui (mio padre) che avrebbe parlato anche con i muri intavola una delle sue discussioni e si finisce a parlare di un paese abbandonato e ferito, alla fine (sempre senza sapere chi sia ) gli porge un’agenda e Ivano gli fa una dedica che se non ricordo male …. “la miglior colazione di Chiavari Ivano Fossati”.
    Per un po’ l’agenda ha girato per il negozio con nuove dediche aggiunte da altri artisti (stessa scena uguale identica con Silvio Orlando) ma poi non l’abbiamo più trovata….
    Ogni tanto capita qui, e mi prendo l’impegno,appena lo vedo, di segnalargli questo tuo post, che penso sia la cosa più bella che ho letto.
    Ps se me lo dicevi si andava insieme al concerto di Chiavari:)

  6. Luca, se un giorno davvero gli farai leggere il mio post, diventerai mio Nuovo Idolo Ufficiale!
    E grazie per leggermi sempre con tanta attenzione.
    PS Se avessi saputo quella volta di tanti anni fa che a Chiavari vivevi tu, mi sarei persino arrischiata a prendere il treno da sola dall’estrema periferia di Ponente!

  7. Sto scalando le classifiche ero diventato il tuo idolo della moda quando confessai di aver scoperto in california che Pucci non era il tarocco di Gucci:)

  8. Le tue parole mi sono cascate dentro come goccie, smuovendo quel tanto che basta a farmi traboccare l’anima.
    Grazie

  9. Si vede che la tua anima era pronta a uscire :)
    (Grazie a te per quello che hai scritto).

  10. ho appena finito di vedere ed ascoltare l’epitaffio (?) di Ivano da Fabiofazio, poi ho navigato ondivagando su internet finchè non ho incontrato un articolo di Scanzi sul Fatto Quotidiano – bello e corretto – e poi ho incrociato un fiume in piena, il tuo, da cui non ho potuto fare a meno di farmi s-travolgere d’un fiato e che dire…..sono orfano anch’io, ma sempre meglio vedere una luce come un faro nella tempesta, un porto sicuro, che non quei miraggi nel deserto che t’illudono e ti lasciano con la sabbia che ti sfugge dalle mani. L’importanza di Fossati ? per esempio, quanta gente s’incontra parlandone. La tua lettera? bellissima, mi ha fatto ricordare di quante volte ho amato ho sognato ho pianto ho pensato e ripensato ascoltando le sue canzoni, continuerò a farlo. Grazie,

  11. Ho sorriso all’epitaffio: in effetti, con quei modi preteschi, fabiofazio sembra sempre pronto al coccodrilli.
    Mi sono quasicommossa sul resto (ma ero già semi frignante causa C’è tempo, in chiusura di trasmissione.)
    Soprattutto mi sono commossa su quel tuo sentirti orfano.
    Grazie a te, mi sa che hai ragione. Fossati fa incontrare e fa parlare la gente. Questo post, probabilmente una delle cose più personali pubblicate qui, mi sta portando inaspettatamente persone molto belle.

  12. Ciao!, reduce dalla serata Fossati, non ho la minima idea di come io sia finita qui, non so nemmeno se domani saprò ritrovare il blog, ma ho letto il tuo post e mi ci sono immedesimata, ci ho cantato su, ho riso e non solo.
    Stasera è stata una sera di emozioni e questa la chiude benissimo.
    Grazie!
    Elisabetta

  13. Grazie a te, è molto bello pensare che qualcuno arrivi qui per caso e s’immedesimi e canti e rida leggendo quello che ho scritto. Emozioni belle anche queste.

  14. Ciao,sono rimasta impigliata in ciò che hai scritto. Sei meravigliosa ed hai reso benissimo un’idea che credo molti condividano.Questa sera vado per la terza volta al concerto di FOSSATI ,non vedo l’ora anche se la
    maggior parte delle persone pensa che sia un pò fuori testa.
    Pensa come sei fortunata ! sei potuta andare vicino alla sua abitazione ! io abito a Viareggio ed è proprio impensabile incontrarlo per caso. Grazie .

  15. Tiziana, grazie a te. E’ sempre bello ricevere commenti così. Com’è stato il concerto?

  16. Meraviglioso,stupendo: unico neo non si riesce a salutarlo a fine concerto.Non è carino essendo l’ultimo tour!! Molte persone aspettano all’uscita,ma niente….. lui riesce sempre a svignarsela.Ti confesso che non sono riuscita a non comprare i biglietti anche per la data di Prato, speriamo di essere più fortunata…. anche quella sera tenterò di incontrarlo da vicinissimo. Ciao

  17. Arrivo qui per caso e d’un fiato divoro lo scritto, ritorno a page up e riparto a ritmo lento a rileggere,..per non perdere ciò che per bramosia di arrivare in fondo ho forse tralasciato. Reduce dalla sua tappa Luganese,…ero li a pochissimi metri da lui che ha concesso fino all’ultima eventualità, autentico e ricolmo di tanta intenzionalità. Spesso la melanconia assale quando qualcuno non c’é più o ci lascia qualcosa di indelebile, ma inevitabilmente passato. Nonostante questo sentimento vissuto costantemente durante la tua esibizione, avevo una sensazione avvolgente e nello stesso istante il momento é divenuto copioso grazie alla stessa mestizia che donava senso. Forse il messaggio é un po’ criptico, ma non é di logica che volevo scrivere. Grazie per l’articolo. Ora é tutto davanti.

  18. Lo scorso anno ho partecipato alla prima conferenza stampa come giornalista e ho avuto la fortuna di partecipare a quella del mio idolo di sempre (da 700 giorni in avanti).
    Avevo in parte a me Luzzato Fegiz e c’era pure Mario Venuti “venuto” a curiosare.
    Non avevo visto la puntata da Fazio il giorno prima e non avevo letto i giornali la mattina.
    Sono arrivato al Piccolo Teatro di Milano tutto entusiasta per il grande evento, avevo già conosciuto Ivano ma solo come spettatore dopo un concerto al Donizetti di Bergamo.
    Incontrarlo in veste di “addetto ai lavori” era una nuova esperienza, elettrizzante, appagante.
    Doveva presentare Decadancing e il tour, doveva presentare anche il volume “Tutto questo futuro” (costa tanto, ma prendetelo… non rimarrete delusi).
    Mi sono ritrovato invece davanti all’ annuncio del ritiro dalle scene (da tutto, concerti, nuovi dischi…) e non ho più connesso, non ho ascoltato una sola parola di ciò che ha detto, ho sentito la registrazione a casa.
    Ricordo solo che tutti chiedevano a turno:
    “Ma farai ancora qualche concerto?”
    “Ci ripenserai?”
    “Scriverai almeno per altri?”
    “Non puoi lasciare, con calma ma qualche disco lo devi fare ancora”.
    Ricordo solo la sua risposta finale con un sorriso quasi implorante: “Per favore, lasciatemi andare”.
    Manca tantissimo, ma la scelta è da rispettare.
    Io avrei voluto fargli solo una domanda ma non ci sono riuscito, la faccio ora:
    “Hai detto che non lascerai la musica, quella la coltiverai e studierai sempre, almeno per interesse personale. Senza tanta pressione, quando te la senti: perché non vai nelle scuole di musica e metti a disposizione delle nuove leve la tua conoscenza ed esperienza con degli incontri pubblici e dei seminari?”.
    Comporre musica e scrivere testi non è da tutti, ma i consigli di una grande della musica italiana possono aiutare…. I tempi sono magri, magrissimi oggi.

  19. Gianluca, sì, sarebbe proprio bello se facesse una cosa del genere. Ma ce lo vedi a fare il “Mogol” con la scuola di musica? Non so. Spero di sbagliarmi, perché sarebbe bello. Intanto il silenzio è reale e dura da un po’, per quanto mi riguarda, già da troppo.

  20. …..il caso o chi x lui… non so chi sei nè sai chi sono ma sono incappato in questa pagina e, cazzo, ci sono rimasto… e la lacrimuccia è ancora qui in agguato. Condivido tutto… quello che qui c’è e anche quello che non c’è ma si intravede… E così siamo in tanti… io e mia moglie tra gli orfani, piangenti al concerto di febbraio al San Carlo di Napoli… Al nostro matrimonio adulto (siamo 50nni) di due anni fa le ho cantato “Carte da decifrare”… ed ho detto tutto.
    Ciao, piacere davvero di averti (avervi) conosciuto, Lello.

  21. Bravississima. Leggendolo mi hai donato alcuni minuti di felicità e… sei diventata il terzo “idolo genovese”, i primi due coincidono con i tuoi ;)

  22. Ho scoperto Fossati pochi anni fa, all’inizio dell’università, e da allora è parte di me. Vedo il mondo con i suoi versi, associo idee alle sue canzoni, filtro nuove immagini tramite le sue. E’ stata la colonna sonora di un amore meraviglioso, nato e poi finito senza un perché; ero al suo ultimo tour (con lei) e ricordo quella come una delle serate più belle della mia vita. E’ anche la colonna sonora della “mia” Genova: quella che ho conosciuto nel 2007 e che, assieme alla mia Trieste, è l’unica città in cui mi sento a casa (i due poli opposti del Nord Italia: la Repubblica Marinara e il porto dell’Impero, De Andrè ed Endrigo, Caproni e Saba, Sbarbaro e Svevo, la passeggiata di Nervi e il castello di Miramare, il pandolce e il presnitz). In questi posti davanti al mare ritrovo me stesso, ma lo ritrovo anche qui, in questo post da brivido, che ho letto e riletto per settimane e che solo ora ho deciso di commentare. Grazie Blimunda.

  23. Ciao Vanni, grazie, grazie a te. Fra l’altro sto per iniziare un’esperienza lavorativa che mi porterà per un po’ di tempo a Trieste e per quel poco che l’ho vista finora, credo che diventerà, come è stata per te, un’altra Genova nel mio cuore.
    E nel frattempo, Fossati l’ho incontrato. More soon :)

  24. gentile barbara sgarzi, era un po’ che non leggevo una cosa così gradevole e così vicina a me e, anche se normalmente non commento mai i post in internet, ho pensato di scrivere due righe per dirle che mi ha fatto piacere leggere ciò che ha scritto. Non ho provato le sue stesse sensazioni ascoltando le canzoni di fossati, ovviamente, ma ho sempre avuto nel cuore le canzoni che hanno accompagnato la mia vita e, nel tempo, mi sono accorto che questi strani oggetti non hanno lo stesso valore per tutti, non comunicano a tutti nello stesso modo, non “bucano” tutti allo stesso modo. Ho trovato molto di me nel modo in cui lei ha descritto la capacità che le parole di altri a volte hanno di aprire porte nel nostro spazio intimo. Ma questa è la forza delle canzoni: disegnano percorsi emozionali dove ognuno può trovare se stesso indipendentemente dal pensiero che le ha generate. Un saluto. ruggero marazzi.

  25. Non seguo blog anzi mi annoiano da morire…invece questo tuo pezzo di vita nero su bianco lho letto tutto d’un fiato e senza riuscire a sospendere.. qualunque cosa dica adesso, sarebbe comunque banale…
    grazie per averlo condiviso.
    Stefania

  26. Ritrovo Fossati anche tra queste “belle montagne” di Basilicata e poi, quel tuo finale è bellissimo.

  27. Grazie Alfonso. La cosa più belle sono questi commenti a un post di più di 9 anni fa. La magia di internet. E di Fossati :)

  28. E vogliamo parlare delle calze di seta sull’abat-jour?
    Ecco, io non sarei capace a descrivere così una scopata con una sconosciuta.

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