Ci ho riflettuto solo grazie a un amico.
Mentre mi affannavo a spiegargli che lavorerò fino al giorno del parto e conto di riprendere dopo poco tempo (un mese? Due, al massimo) lui mi ha interrotto.
“Scusa, non capisco perché fare un figlio debba essere una colpa. Ti stai quasi giustificando”.
Era vero.
Certo, essere freelance, senza maternità pagata, senza sicurezze di ritrovare al rientro il lavoro che ho lasciato e i contatti che ho faticosamente costruito negli anni, non aiuta ad affrontare una gravidanza serenamente. Ma c’è dell’altro.
E’ vero, mi giustifico.
“Sono incinta, ma non cambia niente. Avrò un figlio, ma continuerò a lavorare, a essere puntuale e affidabile, a rispettare le scadenze e ad avere idee nuove per articoli da qui all’eternità . Sono incinta ma sono sempre io, non mettetemi da parte, non crediate che d’ora in poi penserò ad altro”.
Come se fosse una colpa fermarsi un attimo, fare nascere un bambino, assicurargli una presenza nei primi, importantissimi mesi di vita.
Ma in effetti è un colpa. Perché purtroppo non vivo in una società a misura di madre, che tollera pause o défaillances. Ho già notato il sopracciglio alzato, ho già sentito le frasi “Consegnalo prima, per favore, che poi quando nasce chissà quando ti rivedremo”. E inconsapevolmente, mi sono adattata a questo modo di pensare. Mi affanno a spiegare che no, non cambierà niente. E nemmeno me ne accorgo, di essere così invischiata nel meccanismo. Finché qualcuno non me lo dice chiaro in faccia.
Forse il fatto che la persona che me lo ha fatto notare sia gay non è una coincidenza.
Lui sa più di me cosa significhi giustificarsi, spiegarsi e sentirsi messo da parte sulla base di una scelta di vita.
(Anche su Sorelle d’Italia)
Commento solo così: davvero un bel post… povere noi donnine…
non avevo mai riflettuto sotto questo aspetto …. c’hai ragione … ho vissuto la stessa situazione con il mio secondo bimbo e con mia moglie che (da commerciante) era preoccupata per il lavoro …
… si è fermata 3 giorni prima e è tornata a lavorare 2 mesi dopo !
il più delle volte la gravidanza viene vista come una vacanza prolungata o come un dispetto (in alcuni casi lo è ad esempio una mia collega appena è salita di livello ha smesso la pillola e il mese dopo la scadenza della prova è rimasta incinta, mettendosi da subito in maternità anticipata-pagata-). Invece che “partorirai con dolore”bisognerebbe citare “partorirai con disonore” visto che, negli ultimi tempi procreare significa colpa/assenza dal lavoro ingiustificata
dopo aver prodotto la mia discendenza, ho cambiato posto di lavoro. se fossi rimasta lì non sarei mai andata avanti un passo: mi avevano vista con la pancia e tanto bastava. bello, eh?
A me leggendo questo post è venuto in mente il rovescio della medaglia: prima ci sentiamo in colpa verso la società/lavoro se facciamo figli, dopo ci sentiamo in colpa con i figli quando rientriamo alle 8 di sera e loro hanno passato la giornata tra asilo e baby sitter. Insomma come se ne esce? Perché la maternità non è più una cosa “normale”?
Quello che osservo io è che da una parte è vero che ci sono quelle che se ne approfittano. Come ovunque, del resto. Ho un’amica maestra elementare che denuncia ogni anno le “prese di servizio” da parte di supplenti incinta che il giorno dopo aver firmato il contratto si mettono in maternità a rischio e non lavorano un giorno. Dall’altra ci sono quelle che lavorano fino all’ottavo mese e vengono comunque discriminate. Dagli Usa ci dicono che, paradossalmente, la nostra extra tutela della maternità è l’ostacolo più grande affinché le donne facciano carriera. Io a volte non so più cosa pensare, cosa sia giusto e cosa no.
je: vero. Perché non è più normale, ma assume contorni drammatici, qualunque sia la scelta che facciamo?
sono sulla lunghezza di je, fare figli è normale, lo è sempre stato dopo il famoso morso alla mela da parte di Adamo. perché affannarsi, farsi in quattro per star dietro a tutto? siamo proprio sicuri/e che la carriera sia al primo posto nella lista personalissima delle priorità? e se si dovessero guadagnare meno soldi sarebbe proprio un dramma? forse comporterebbe fare meno viaggi, meno uscite a cena, meno shopping … ma anche questo è così importante?
mi viene in mente quando mia nonna (col marito in guerra) tornò da Milano al paese con le due bambine (una era mia madre)… una cassetta da frutta per tavolo e due per sedie e quasi nulla da mangiare, ma è stato il periodo più sereno della sua vita, lei con le sue bambine
forse bisognerebbe ogni tanto mettere ordine nei propri valori
la carriera mi interessa poco, le figlie molto di più. dello stipendio però ho bisogno anche per le figlie, e rientrare ogni sera arrabbiata perché sul posto di lavoro mi consideravano una fattrice e non una professionista non mi aiutava a essere serena a casa. discorso complicato e ho poco tempo… mi spiace.
la questione non è amore o soldi, perchè se non ci sono soldi io donna non sarò felice in primis e neppure il figlio lo sarà. Una mamma che non può soddisfare i bisogni del figlio e della famiglia in generale sarà una donna frustrata e basta. E l’amore va a farsi friggere. Non sono cinica, sono realista, ci sono donne che all’assunzione firmano lettere di licenziamento in bianco avendo risposto “no” alla precedente domanda “ha intenzione di far figli?”
Il concetto è : la donna può tornare alla grande in pista per la carriera pur avendo figli, la maternità non è un handicap è un valore aggiunto alla persona. Si dice che le zitelle siano acide non le madri.
Blimunda: hai perfettamente ragione, c’è una categoria di donne che, comportandosi in modo scorretto in gravidanza rovina tutte le altre. Molte aziende non assumono a tempo indeterminato(la mia migliore amica lavora per un’agenzia di selezione è lei che riceve precise direttive dalle aziende che cercano)donne in età fra 25 e 35 poichè considerate troppo “fertili”.
Non è una colpa di certo ma forse in Italia sì.
ciao!
io non trovavo una azienda disposta a prendermi perché facevo colloqui prima di sposarmi…
quella che mi ha preso mi ha chiesto di non avere figli per i primi due anni spiegandomi che sono il tempo minimo per imparare bene il lavoro. dopo piu’ di un anno non ho ancora un contratto a tempo indeterminato… per cui mi stanno dando una mano a non farmi passare per la testa l’idea di avere un bambino.
comunque, non hanno niente contro la maternità ma donne che si sono fermate per più di 9 mesi o che hanno presentato certificati di gravidanza a rischio e poi hanno fatto dondolare la pancia nei mesi di assenza andando regolarmente a salutare le colleghe… al rientro si sono ritrovate riposizionate negli uffici più “umili”.
purtroppo chi ci da da lavorare è più portato a far statistica… per cui non sempre ha torto.
comunque, finché non cadi in errore… il senso di colpa dovrebbe averlo chi non ha capito chi tu sia.
Da una parte do ragione a JillL e terra; la carriera conta sicuramente meno dei figli. Dall’altra, però, io mi identifico da sempre con il mio lavoro. Il mio lavoro è importante, è parte di me e sono certa che se ci dovessi rinunciare, diventerei una madre frustrata e una persona a metà. Non vorrei rinunciarci, esattamente come non ci rinuncerà il mio compagno, che diventerà genitore tanto quanto me.
A tutte, se avete voglia, consigli la lettura di Uno Virgola Due documentario e libro con decine di interviste a madri licenziate, demansionate, discriminate per aver fatto un figlio. Ma questi ci hanno pensato che, a crescita zero, nessuno lavorerà per pagargli la pensione?
ho provato anch’io a spiegare della frustrazione, ma mi sento frustrata dalla mancanza di tempo. perché sto lavorando, non avendo voluto rinunciare al lavoro. altrimenti mi sarei sentita frustrata.
terra: lo so. Strada senza uscita femminile. E’ così da sempre. Mia madre una volta, mentre stavo rivendicando il fatto che lei aveva sempre lavorato affidandomi a nonne e zie, mi disse: “Intanto, qualunque scelta avessi fatto, sarebbe stata quella sbagliata “.
il mio personalissimo punto di vista è questo: “Intanto, qualunque scelta avessi fatto, sarebbe stata quella giusta”
perché solo se si pensa di essere nel giusto si può essere sereni con se stessi
non si avranno sensi di colpa verso i figli (è importantissimo per il loro equilibrio), non si avranno neppure verso i datori i lavoro, perché certi di aver fatto del proprio meglio
insomma, pensa positivo :D
Io ho visto due mondi completamente diversi: dopo aver fatto due figli da giornalista (senso di colpa alle stelle sia a casa che sul lavoro, stress allucinante da mancanza di tempo ecc) sono diventata insegnante. E a scuola ho toccato con mano il razzismo delle donne contro le donne. Ho sentito discorsi incredibili, come “è colpa delle madri che lavorano se questi ragazzi sono così sbandati” ecc. Loro invece sono donne vere, che hanno scelto di insegnare per stare dietro alla famiglia. Ma invece insegnare perché ti piace farlo?? Che rabbia, che rabbia.
Da zitella per scelta e childrenfree per vocazione non ho simpatia per chi sceglie di sposarsi ed avere figli.
Vorrei far notare che la gente che ragiona come me è la più penalizzata.
Zitelle acide? Mai quanto le casalinghe!
Sai che c’è, Elena? Acida è, o diventa, chi è frustrata e non soddisfatta della sua vita, qualunque scelta faccia. Acida è chi fa figli e si lamenta di averli, acida è chi non ne ha e ne vorrebbe, acida è chi è casalinga ma vorrebbe un lavoro, acida è chi ha un lavoro e lo odia. Non si tratta di cosa scegli, ma di quanto e se stai bene nella tua pelle.
Wow….io sono indecisa tra un lavoro a progetto ma sostanzialmente fisso e mandare tutto all’aria buttandomi nel mondo freelance con cui ho gia avuto qualche contatto….ma sentendo questi discorsi non c’è niente da gioire…ho 30anni e l’idea di un figlio non ora ma tra un paio d’anni…ce l’ho in testa….è un disastro praticamente….