Intervisto un mega direttore del personale, per dirla alla Fantozzi. Uno che ha passato la vita in azienda, a fare colloqui ad alto livello, a decidere assunzioni e retribuzioni.
L’argomento dell’articolo non c’entrava molto ma alla fine dell’intervista non resisto e devo chiedergli:
“Mi scusi, ma perché ogni volta che ho fatto un colloquio (poche, per fortuna), l’intervistatore si è sentito in diritto di chiedermi se avevo intenzione di fare figli, come se avessi una malattia contagiosa occulta che prima o poi sarebbe esplosa in mezzo all’ufficio?”
La risposta di prammatica è stata che le aziende si devono tutelare dalle assenze per maternità e che la colpa è del governo che non predispone più aiuti per la madri lavoratrici (più asili nido, con orari flessibili), visto che poche ormai possono contare sui nonni per il babysitteraggio gratuito del pupo.
“Con più aiuto alle madri – mi ha spiegato – si potrebbe ridurre la durata della maternità , troppo lunga in Italia rispetto al resto d’Europa (non parliamo degli Usa). Con una maternità più breve le donne non sarebbero più una minaccia per le aziende, che potrebbero assumerne di più e in ruoli di maggior rilievo. Perché sa, è un gran peccato, le donne sono davvero migliori, più intelligenti e brillanti etc etc ” e tralascio il resto del peana pro-donne perché ormai l’ho sentito troppe volte.
Mentre sto ancora riflettendo sul mio utero, pericolosa minaccia aziendale se lo uso e infame marchio sociale se decido di lasciarlo a riposo, il mio compagno torna dall’ufficio dicendomi:
“Ho fatto un colloquio a una persona. Io non le ho chiesto niente ma si è sentita in dovere di dirmi che ha due bambine piccole”
“E tu cosa hai pensato?”
“Beh, che se le ha già fatte è meglio, così non sta a casa una vita per la maternità “.
Appunto.
Riflettendo su tutto questo e su quel 20% di donne che lasciano il lavoro dopo il primo figlio (dati Istat), mi rimbalza in testa la famosa frase:
Non dimenticate che Ginger Rogers faceva tutto quello che faceva Fred Astaire, ma all’indietro e sui tacchi alti.
Donne! Le grandi nemiche del capitalismo :D
Il megadirettore e’ abile a confondere i pretesti con le giustificazioni.
Amara verità!
(Io ho anche la “famosa” rubrica satirica “precariato e tacchi a spillo”, ma comincio a trovarci sempre meno argomenti divertenti…)
Theo: esatto! Abbiamo le ovaie marxiste, noi!
Corrado: è il suo lavoro: pensa che è lo stesso che licenzia, per cui se non è bravo lui a confondere le acque..
Dania: immagino. Quando la satira si avvcina troppo alla realtà (alla nostra realtà), non fa più tanto ridere.
Ragazza mia, con gli uomini, bisogna avere pazienza perchè sono di un’altra specie! ;-)***
Le donne riescono a portare avanti intere famiglie con i figli, non si capisce perchè si pensa che non possano fare lo stesso con le aziende.
Se avessi un’azienda vorrei solo persone produttive al 100% senza soluzione di continuità.
Non bisogna essere ipocriti: è normale che l’azienda tuteli i propri interessi.
E’ invece compito dello Stato garantire a tutti parità di opportunità. Ad esempio facilitando per l’azienda l’introduzione di un asilo nido nelle proprie strutture.
Ricordate, la colpa è sempre di chi ci governa. Infatti, pochi mesi fa è stato inaugurato presso una delle Camere del governo un asilo nido, con tanto di parcheggio gratuito per le mamme. Visto che quando vogliono le cose le sanno fare. Per loro.
B.
“e che la colpa è del governo che non predispone più aiuti per la madri lavoratrici (più asili nido, con orari flessibili)”
e se iniziassero gli uffici a fare gli orari flessibili?
ad avere l’orario elastico?, a usare la banca ore?
per non parlare del lavoro a distanza e del job sharing e del parttime
perche’è vero che gli asili nido hanno degli orari da delitto, ma e’ anche vero che se devo fare data entry per le fatture posso farlo anche in orario piu’ comodo a me.
io nel mio piccolo, se devo parlare coi colleghi e’ bene che sia in uffico quando ci sono loro, ma se devo pianificare o fare altro posso farlo anche alle 20 di sera.
ovvio che ogni lavoro ha un grado di elasticita diverso , ma spesso anche gli ufficio che si potrebbero permettere di essere elastici nonlo sono per nulla.
“Riflettendo su tutto questo e su quel 20% di donne che lasciano il lavoro dopo il primo figlio (dati Istat), mi rimbalza in testa la famosa frase: Non dimenticate che Ginger Rogers faceva tutto quello che faceva Fred Astaire, ma all’indietro e sui tacchi alti”.
La famosa frase ti rimbalza in testa ma i dati Istat la smentiscono putroppo. Il 20% è tanto!
:-(
Baltasar: colpa dello Stato, ma anche delle aziende. Come sottolinea Pm10, in Italia non esiste elasticità. Non funziona il part time, né il telelavoro. Le aziende ti vogliono lì comunque, anche se per un giorno scaldi la scrivania, devi essere lì affinché loro ti controllino. Manca totalmente la fiducia e permane l’idea che flessibilità significhi meno produttività.
Scimmietta: la frase mi fa pensare, come dice Stregatta, che siamo in grado di fare tutto, anche il doppio lavoro ufficio/famiglia, persino con grazia. Il problema che sta alla base di quel 20% (un’enormità) è che lo sappiamo solo noi: chi decide se siamo in grado o meno è uomo. Come ha detto recentemente la Finocchiaro in una bella intervista a Vanity Fair, noi combattiamo, ma l’arbitro è sempre un uomo…
(OT.Bacioalgalòp)
Blimunda apri una voragine su un altro tema…
In Italia non c’è la flessibilità e la fiducia delle aziende anglosassoni perché la cultura da Fantozzi e Cipputi generata dai sindacati negli ultimi 30 anni ha definitivamente eliminato il concetto di meritocrazia ed escluso la possibilità di licenziare i fancazzisti.
Ripeto, la aziende curano i propri interessi e un “lavoratore” soddisfatto e sereno è l’obiettivo dell’azienda perché produce di più.
Ma in Italia una domanda così in un colloquio di lavoro è “legale”? In Germania non lo è, quindi la domanda non è permessa e se viene fatta si è autorizzate a mentire. Mi sorprende che la legge europea sulla discriminazione in Italia non trovi applicazione.
Placida: ciao cara bentornata!
Isadora: non dovrebbe, essendo un dato sensibile. Ma quando cerchi un lavoro difficilmente riesci a rispondere così al tuo intervistatore… Certo, puoi mentire anche qui. Resta il fatto che è un momento sgradevole e imbarazzante del colloquio, che già di per sé non è una passeggiata.
Vedo che l’argomento e’ caldo ;-) E’ chiaro che asili ed elasticita’ (e, aggiungo, ridistribuzione dei carichi familiari interni alla coppia) aiuterebbero, ma a me sembra, e lo dico da uomo, che alla fine funzioni sempre il pregiudizio che, tutto considerato, un uomo e’ meglio.
Corrado: forse alla fine il segreto è proprio in quel “ridistribuzione dei carichi familiari”. Ho avuto colleghe madri, ovviamente, e osservavo che tutto il carico di lavoro, anche mentale (devo chiamare la babysitter-devo andare a vedere gli asili-devo andare dal pediatra) etc etc toccava sempre e solo a loro. Facile essere più deconcentrate sul lavoro, rendere meno e quindi gettare benzina sul fuoco dei clichés che vedono le donne con figli meno affidabili agli occhi di datore di lavoro.
sono di genere maschile,provincia nordestina.
in giro per i bar del centro,per lavoro,noto spesso un fancazzismo femminile di genere velinismotardosimonaventurismo.
della serie,lavorare stanca.
meglio il professionista o un alto contobancarioso come assicurazione,che poi spesso si traduce in un pupo che poi magari si sbroglia in un pietro maso qualunque…
ovvio che esiste tutto sotto questo cielo,anche personcine di sinistra gayezza che inneggiano a hamas-giuro,visto di persona a padova-,ma la tv ha vinto,direi.
quante di voi fanno colazione?
a presto,policy uncorrect…
Umberto, non ho capito quasi nulla, ma una domanda: volevi dire “politically uncorrect”, vero?
VORREI ACQUISTARE IL LIBBRO INTITOLATO ALL’INDIETRO SUI TACCHI A SPILLO VORREI SAPERE DOVE POSSO ACQUSTARLO VI RINGRAZIO
Si parla tanto di pari opportunità tra uomini e donne e poi le donne vengono discriminate ancora. Una donna riesce tranquillamente a gestire la casa, la famiglia e il lavoro. Questi datori di lavoro uomini dovrebbero capirlo. Siamo nel Terzo Millenio.