C’era un tempo in cui le cose mi parlavano.
E no, non era quando esageravo col pigato a cena. O col cubalibre dopo (rum scuro, sette anni, grazie).
Le cose mi parlavano perché io stavo ad ascoltarle. Avevo la mente aperta. Avevo dieci anni di meno e mi sembrava che il mondo fosse lì a portata di mano, bastava solo allungare una mano e prenderlo.
E quindi le mie antenne erano ritte e sempre pronte a captare i segnali. A cogliere le coincidenze. A trarre auspici dal verso di una canzone ascoltato per caso, da un incontro fortuito, da una frase letta in un libro che si è aperto per caso (per caso?) proprio a quella pagina.
E tutto andava bene, sembrava seguire un binario nascosto creato apposta per portarmi lì, nel posto giusto, al momento giusto. Colloqui di lavoro, serate, viaggi, nuove amicizie, libri che portavano altri libri, conoscenze che portavano nuove conoscenze; tutto combaciava e io decidevo d’istinto, di pancia, senza paranoie, senza paura di sbagliare.
Non so se era la beata incoscienza, il non avere nulla da perdere o il fatto di divertirmi qualsiasi cosa facessi, però tutto s’incasellava perfettamente e le decisioni razionalmente più assurde si rivelavano le più azzeccate. E non c’era mai, mai un momento in cui mi chiedessi se ne valeva la pena. Lo facevo e basta. Tutto era energia che generava nuova energia.
Poi si cresce o si invecchia, dipende dai punti di vista; crediamo di aver raggiunto qualcosa, ci leghiamo a persone che dipendono da noi, abbiamo una paura fottuta di perdere il piccolo orticello che crediamo sia l’unica cosa che conti, iniziamo a scegliere sulla base del raziocinio, dei soldi, delle sicurezze. Facciamo liste, elenchi, calcoli dei pro e contro anche per uscire a mangiare una pizza. Diventiamo noiosi e prevedibili.
E le cose, piano piano, smettono di parlarci, perché non siamo più disposti ad ascoltarle.
a me parlano ancora ma solo per incoscienza il fatto che mia figlia venga con me in settimana bianca testimonia che ho sempre bisogno di una persona che mi sorvegli:)
Magari le cose smettono di parlarci anche perchè siamo più concentrati su quelli che dipendono da noi (vedi i figli) e non puntiamo solo a soddisfare la nostra personale fame di conoscenza.
oh che cosa triste. oh che cosa vera…
io quel tempo lo chiamo *quand’ero fulminata*
:)
no, non va sempre così… io quel periodo lo sto vivendo ora… due figli e dieci anni dopo, e una svolta lavorativa. si può rimanere in ascolto delle cose, anzi scoprire cose nuove che prima non sentivamo. bisogna solo crederci.
Flavia
Non ho mai avuto la sensazione che il mondo fosse lì per me, basta allungare una mano…Però è vero che invecchiando i diventa più calcolatori. Forse bisogna aspettare di arrivare alla terza età per tornare “sgarzulini e spanizzi” (questi termini non hanno corrispettivo in italiano, indovinatene il significato dalla musicalità della parola, rende abbastanza il senso… :-)
Ma no nì, continuano a parlarti. Solo che ora dai retta solo a quelle più “profonde” e intelligenti :-*
epperò noiose…
La classica crisi del 40enne. Però non hai 40 anni, poi non sei un uomo. C’è qualcosa che non va. Beviamoci sopra. Ci vediamo domani alla BIT?
marco: ma sai che le donne sono precoci in tutto, sarà che mi è arrivata un po’ prima la crisi dei 40…Sì, io domani ci sono. Così vedo tutti i posti dove vorrei andare e mi ri-deprimo. Speriamo negli aperitivi.
..speriamo negli aperitivi…speriamo che siano molto alcolici volevi dire
forse, invecchiando, sentiamo solo ciò che val la pena di sentire.
cara blimunda, come sai, ti leggo e commento da un pò, il mio nick è inconfondibile vero ? ;) ti esorto a recuperare la tua spontaneità ed a rizzare di nuovo le orecchie per ascoltare le cose che ti parlano. Ti parlo per esperienza, ho 53 anni e ne ho passate di cotte e di crude!
Negli ultimi anni mi sono successe cose che avrei pensato di non poter MAI superare ed invece ce l’ho fatta proprio grazie alle voci….mi sono resa conto che quello stato di grazia di percepire la voce delle cose DEVE essere ascolato di continuo e spiegato a chi ti sta vicino. Si alterna le decisioni, se proprio all’altro non c ondivide, una decisione tocca a me e l’altra a te… ma IMPONITI!!!
Perchè si inizia a chiudere le orecchie quando ciò che avviene intorno a noi non collima con i nostri desideri e sembra inconciliabile con le voci che sentiamo: allora ci sembra che tagliando fuori le voci e ragionandoci sopra, possiamo affermare che facciamo le nostre scelte. ERRORE MADORNALE!! reprimendo sempre più le voci che ci parlano, inaridiamo inconsapevolmente e perdiamo l’essenza più preziosa di noi stessi, come ben ti sei accorta. La nostra personalità si appiattisce, NON SUBITO ! a poco a poco, il cambiamento è talmente progressivo ed impercettibile che NON RIESCI A QUANTIFICARLO che alla fine, quando sei troppo avanti, quando è troppo tardi.ti guardi indietro e ti chiedi, MA CHE CASPITA HO FATTO DELLA MIA VITA !!! Indietro non si torna, l’amarezza di aver tradito te stessa, le occasioni che rimpiangi di non aver sfruttato. magari hai fatto la scelta giusta, ma non lo saprai mai…ti rimane il rimpianto di non aver ascoltato le voci…
ABBI FIDUCIA CHE LE SOLUZIONI GIUSTE TI ARRIVERANNO ED APRITI DI NUOVO ALLE VOCI… E LA VITA TI SORRIDERA’ CON UNA NUOVA LUCE !!!!
AD MAJORA ..
ciao Renata
Puoi ricominciare pian piano… io ancora non sono uscita dal tunnel del poppante quindi sono l’ultima che puo’ parlare, ma.. una canzone. Una foto. Un diario. Un vestito. Nel tuo caso… delle scarpe. Perche’ no?
Ciao!
ho trovato ora il tuo blog… semplicemente fantastico!
Volevo solo chiederti una dritta, visto che sono “praticante” da poco, ma malata di shopping da sempre: come si fa a partecipare alle svendite per giornalisti???
Certa che tu possa capire…
Malata di shopping senza speranza…
Fede
Che bel pezzo.
Princy: forse sì, ma appunto pare che quello che vale la pena, da un certo punto in poi, sia solo l’aspetto noioso, obbligatorio, dettato dal senso del dovere e della responsabilità.
Renata: grazie, grazie davvero. E’ bello sentire qualcuno un po’ più grande di me che è riuscito a non appiattirsi. E quello che dici – rimpangere le occasioni perse, una vita diversa – è esattamente quello che mi spaventa di più.
Wonderland: le scarpe mi parlano pure troppo, devo dire :-)
Fede: l’ideale sarebbe avere un’amica in redazione che ti avverta…le date delle svendite arrivano solitamente solo alle giornaliste di moda, che poi le condividono con il resto della redazione (non sempre e non tutte…). Oppure, fatti amiche le Pr di moda :-)
Cri: grazie!
Blimunda, mi dispiace ma “sconcordo”. La capacita’ di ascoltare torna piu’ forte che mai e torna proprio a 40 anni, l’eta’ della liberazione, del chissenefrega del raziocinio se la mia pancia mi dice che questa e’ la strada giusta. E incredibilmente lo e’. Torna anche l’energia procacciatrice di energia. Ti liberi dei pesi morti, di chi vede solo nero e ti riprend i tuoi sogni e le tue fate. Sei piu’ consapevole di quello che sei e di quello che vuoi essere o non essere. Sei piu’ forte e meno disposta a rinunciare alla tua liberta’. Te lo prometto. Il vero bello deve ancora venire!
Adel: grazie, davvero. E’ molto bello leggere commenti così appassionati e sinceri. E spero proprio che tu abbia ragione. resta il dubbio di cosa fare in questi (non molti, purtroppo) anni che mi separano dai fatidici 40.. :-)
Sto per attaccarmi al gas, meno male che come stavo per aprire la manopola, mi è andato l’occhio sui carciofi. E da lì alle parole di Neruda, è stato un attimo. Sono salva. Ma sappi che la prossima volta ti denuncio:))) E fammi sapere se dopo questa poesia stai meglio!
Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,
ispida edificò una piccola cupola,
si mantenne all’asciutto sotto le sue squame,
vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono,
divennero viticci,
infiorescenze commoventi rizomi;
sotterranea dormì la carota dai baffi rossi,
la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,
la verza si mise a provar gonne,
l’origano a profumare il mondo,
e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero,
brunito come bomba a mano,
orgoglioso,
e un bel giorno,
a ranghi serrati,
in grandi canestri di vimini,
marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:
la milizia.
Nei filari mai fu così marziale come al mercato,
gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi,
file compatte,
voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,
ma allora arriva Maria col suo paniere,
sceglie un carciofo,
non lo teme,
lo esamina,
l’osserva contro luce come se fosse un uovo,
lo compra,
lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,
con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,
entrando in cucina,
lo tuffa nella pentola.
Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,
poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta
del suo cuore verde.
Sto sempre meglio dopo una poesia di Neruda, grazie. Fra l’altro, vivrei di carciofi crudi, affettati sottili, con sopra le scaglie di grana…