Costa Concordia, l’informazione e il giornalismo

Quando affondò l’Andrea Doria, vanto dei cantieri navali di Sestri Ponente, era il luglio del 1956. Mio padre era uno dei pochi (presumibilmente: nella periferia operaia di Genova, nel 1956), a conoscere l’inglese perché stava frequentando una scuola per interpreti.

Ascoltò quasi in diretta alla radio il dramma del naufragio, grazie alle trasmissioni internazionali che seguiva abitualmente per migliorare ascolto e pronuncia. Non è che la seconda guerra mondiale e Radio Londra fossero tanto lontane.
Scese al bar sotto casa a raccontarlo e lo presero per matto. Prima di tutto, l’ammiraglia Andrea Doria non poteva affondare, no (il Titanic, tirato in ballo così tante volte in queste ore concitate del naufragio di Costa Concordia – a proposito: basta per favore, abbiamo capito l’analogia, sì – non aveva insegnato molto). E ovviamente, la notizia non era ancora arrivata: niente web, niente twitter, niente satelliti, per cui poco poteva la voce di un singolo contro il silenzio dell’informazione ufficiale.

Oggi c’è la tristezza infinita per quello che è successo Giglio, il magone per i morti, i feriti, i dispersi, la paura di quei bambini che urlavano, il pensiero che ad agosto su una nave da crociera c’ero io con mia figlia, lo squallore indicibile delle foto che mostrano una nave bellissima, sfolgorante, abbattuta su un fianco, squarciata, abbandonata come una balena spiaggiata senza più un’ombra di dignità. Anche il personale, inutile pensiero di chi come me adora viaggiare per mare, tanto quanto odia prendere l’aereo, perché, irrazionalmente, sull’acqua si è sempre sentita più sicura che per aria.
Più di 50 anni dopo da quell’ultimo grande naufragio di un translatantico, però, mi chiedo prima di tutto com’è possibile che una nave del genere si possa incagliare su uno scoglio. E poi perché stanotte, con più di 4.000 persone in pericolo, la maggior parte degli organi di stampa italiani, tv in testa, tacesse. Plauso alla diretta del Tirreno e al suo Storify, grazie a twitter, sì; ma con gli strumenti del 2012 è un po’ poco. Anche perché gli strumenti, se non cambia il modo di fornire l’informazione, l’attitudine dei giornalisti, l’uscita dal loop di un’informazione online vista soprattutto come un copia/incolla di agenzie, con twitter come tappabuchi degli argomenti scoperti, possono davvero poco e questa è l’ennesima dimostrazione.

___________

Aggiornamento

Volevo scrivere qualcosa sugli sviluppi di oggi, video falso compreso (ne parla anche qui Marco Fantasia sul suo profilo Fb), ma ci ha già pensato Alessandra Farabegoli.

5 thoughts on “Costa Concordia, l’informazione e il giornalismo

  1. D’accordo su quasi tutto, ma c’è una spiegazione tecnica: in Italia i giornalisti hanno veramente pochi mezzi a disposizione. Certo la BBC trasmetteva, ma, all’ora del naufragio, non dovendo coprire tutto il mondo, la maggior parte delle redazioni, tanto quelle on-line che quelle televisive, sono chiuse (o quasi). Non è una giustificazione, ma alle 5 del mattino la pubblicità, banalmente, non paga

  2. Francesco, senz’altro, e non è certo colpa del singolo giornalista, ne parlavo anche qui http://www.blimunda.net/?p=3604
    Repubblica.it però, da mesi ha inaugurato un servizio 7-24, o così strilla in homepage. Il problema è come per la cattura notturna di Osama: manca una consuetudine, mancano i flussi, mancano i modelli. Sembra assurdo, ma i corrispondenti della carta, che sono in zona, spesso non sanno chi avvisare dell’online e in che modalità; sono due mondi che ancora non si parlano e questo è il risultato.

  3. Tutto molto interessante ma, di grazia, cosa avrebbero dovuto fare i giornali? Perchè è sempre molto facile criticare domani quello che oggi, in stato di emergenza, tocca fare in 5 minuti.
    Farebbe piacere (e potrebbe insegnare qualcosa, perché no) far sapere ai “signori giornalisti” cosa vorrebbe il pubblico invece di sentirsi solo criticare.
    Attendiamo impazienti ;-)

  4. Ciao a tutti,
    una volta, almeno da quando è stata inventata la cabina per il telefono, a qualsiasi ora c’era qualcuno che si appendeva alla cornetta e svegliava direttore, caporedattore, redattori, il mondo.. e rispondevano. Semplice. Migliaia di film sono con scene di sveglie notturne da parte di personaggi rampanti col cappello e il tesserino Press infilato nella tesa .. Ma questo è secondario, scusatemi. La cosa principale è dare soccorso efficace e salvare le vite.. Perdonatemi ma anche diffondere la notizia tempestivamente al popolo e con dovizia di particolari non è che serva a granchè, forse ai familiari delle vittime che però ho visto essere stati avvisati direttamente dalle vittime che hanno persino fatto in tempo a fare fotoricordo e pubblicarle su facebook.. .Mah,,… Ne muoiono molti di più sul lavoro o per incidenti stradali eppure nessuno fa nulla.. Per ultimo consiglio di non diffondere la descrizione di situazioni che lasciano luogo all’immaginazione (appunto sto polpettone del Titanic che nessuno sa come è andata veramente , immaginano il film, quindi è tutto dire) nei quali tv e giornali, pettegolando e enfatizzando i modi più tragici di morire perchè così “fa audience”, “zuppano il pane” attirando solo orde di curiosi pettegoli, opinionisti da salone di parrucchiere, facendo i soldi sulle sventure della gente. Diventiamo un popolo un pò più serio , agganciati più alla realtà per dare davvero una mano, stringendoci ai nostri connazionali ogniqualvolta serva e allora si che l’informazione sarà fedele al proprio compito. Il resto sono chiacchiere.
    Grazie dello spazio offerto per dire la mia..
    Buona domenica!!

  5. Ciao Andrea, se leggi il post e anche quello che ho linkato nel commento sopra, direi che la mia posizione (da collega e non da pubblico, ma spero valga lo stesso) è chiara. Mi occupo di informazione online da molti anni, ma purtroppo non vedo ancora il cambiamento di mentalità necessario per integrare al meglio le risorse cartacee e quelle online, ad esempio nel caso della mancata comunicazione fra i corrispondenti della carta che sono sul posto e quindi hanno un angolo di osservazione privilegiato, e i siti di testata.
    Nei corsi che faccio alle redazioni cartacee, una delle prime questioni che i giornalisti cartacei mi pongono è: ma se anche io ho una notizia in anteprima, non so chi avvertire dell’online, non c’è comunicazione. Questo è un enorme problema organizzativo, manca un flusso chiaro e rapido tra carta e online che, in casi di emergenza come questo, consentirebbe un’informazione verificata (da chi è sul posto) ma rapida (grazie allo strumento online). Per ora, vedo solo un convulso copia incolla di agenzie e una corsa a bruciare sul tempo il diretto competitor.
    E, ripeto: non si tratta di addossare colpe al giornalista, si tratta di capire come sviluppare un’attitudine diversa, data la rivoluzione che ha colpito e colpirà sempre di più il giornalismo come lo conoscevamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*
Website