E’ successo: ho saltato settembre. O meglio, i libri che vedete qui sono sia di settembre che di ottobre, come sempre in parte letti, in parte in progress (perché, voi non leggete due o tre libri insieme, a volte?), in parte ancora da iniziare. Mi scuso per il ritardo e mi scuso anche per la foto sfocata, ma mentre provavo a farla, la pila è caduta tre volte e alla fine non ne potevo più.
Partiamo. (Alert: trattasi di post-pippone infinito).
Iniziamo con il nuovo libro di Silvia Avallone; dell’incontro con lei, molto piacevole, ho già parlato qui. Sul libro, faccio una premessa: non è il mio genere – sono colpevolmente esterofila – e non avevo letto Acciaio, ai tempi. Per cui mi ha stupito il mio aprirlo e terminarlo in un paio di notti (la febbre della cinquenne ha aiutato, certo, a restare sveglia) e trovare un bel racconto, una bella ambientazione, due personaggi particolari, che restano. E soprattutto quella che è la mia ossessione: il racconto di come l’unghiata inflitta dalle famiglie di origine modelli più o meno consapevolmente le nostre vite.
Brevi incontri di Irene Bignardi mi ha incuriosito perché tratteggia i ritratti di scrittori da lei conosciuti in tutta una vita. Mi piace molto il suo stile, mi piacicono gli scrittori dei quali parla, solitamente mi annoiano le biografie ‘singole’ (a meno che uno non abba da raccontare, chessò, la vita di Limonov) ma la struttura del racconto breve ricco di aneddoti,  invece, mi intriga molto.
La gonna che visse due volte c’entra poco con tutto il resto, ma è nella pila per due motivi: ha un titolo bellissimo e in questi tempi di crisi è utile imparare a rivoltar cappotti, come facevano le nonne. Anche se io sono un caso disperato nel Do It Yourself e qui più che di mettere toppe si cerca un  risultato molto più glam: upcycling, altro che pezze.
Il lato oscuro del digitale mi ha respinto per un po’ proprio a causa del titolo (non c’è già abbastanza gente che si scaglia contro ‘il digitale’ che poi, ricordo le parole di Mario Tedeschini-Lalli “è una cultura, non è una tecnica”?). Però l’interesse professionale ha avuto il sopravvento sull’effetto-Morozov del titolo, anche se per ora non posso dirvi molto di più, l’ho solo sfogliato.
Yellow Birds di Powell, sì, lo so: l’avete letto tutti un anno fa, ho visto passare recensioni, incipit, applausi e standing ovation. Io sono come sempre in ritardo, se avete pareri da condividere, sono qui.
Vite che non sono la mia rientra nel dopo-Limonov e dopo-L’avversario, modello: ma dov’ero? Ma cosa facevo? Ma perché non ho letto l’opera omnia di quest’uomo? Questo in particolare mi sta facendo sudare, perché si apre con la storia dello tsunami da un punto di vista di alcuni, loro malgrado, protagonisti. Si parla anche di bambini e io, anche se da mo’ non ho più la scusa degli ormoni da gravidanza, da quando sono stata toccata dalla mistica esperienza della maternità faccio davvero fatica a leggere di tragedie che coinvolgono i figli. E’ solo un avviso, se anche voi foste in modalità #vecchiezie con la lacrima pronta, ecco; per il resto, scrittura magistrale, come al solito.
Venivamo tutte per mare è un po’ che l’ho in testa. Finalmente, nell’ultima spedizione in libreria, l’ho comprato. Nel racconto delle migliaia di donne giapponesi arrivate negli Usa come mogli per procura, mi colpisce anche la scelta stilistica di parlare tramite il “noi”. Donne così spersonalizzate, merce da matrimonio, tanto da non avere diritto a un pronome singolare.
Come stanno le cose di Piergiorgio Odifreddi – una traduzione e rilettura di Lucrezio – l’ho sentito raccontare dalla sua voce, a Mantova. Io lo inserirei tra i libri di testo dei licei, ma siccome la nostra scuola è ferma all’abaco e all’ora di religione, facciamo così; facciamo che se avete in casa un adolescente, glielo regalate voi.
Novemila giorni e una sola notte mi è arrivato a casa unsolicited (e va benissimo, per carità ). L’ho inserito un po’ per spezzare la catena dei-libri-che-leggo -di solito (mi rendo conto, osservando a ritroso la mia lista di letture, che a parte rare eccezioni sono troppo prevedibile), un po’ per curiosità , visto che ne parlano come di un successo planetario. Molto promosso sui social media, molto ‘d’amore’, staremo a vedere. Una sola annotazione: la fascetta gialla, che recita: “Il romanzo più romantico dell’anno. Un caso editoriale senza precedenti: venduto in 21 paesi in meno di una settimana” è materiale per Fascetta nera, ma anche per Daniele Bresciani.
Il bizzarro incidente del tempo rubato è il per me attesissimo nuovo libro di Rachel Joyce. Ho amato moltissimo Harold Fry (anche grazie al racconto di Ipathia) e non vedo l’ora di iniziare questo, che nasce dal mistero di due secondi scomparsi. E Ipathia c’entra anche stavolta, certo.
La moglie è ancora intonso, al momento (penso di aver bisogno di una vacanza solo per leggere, ecco). Non ho mai letto niente della Lahiri, ho visto però recensioni ottime e ho voglia di India. Direi che è sufficiente per iniziarlo.
L’ho già scritto su Facebook ma lo ripeto qui: sarò sudamericocentrica, ma Il tango della vecchia guardia è uno di quei libri che mi fa venire voglia di chiudere tutto, internet, cellulari, porte e finestre, e di leggere fino all’ultima pagina. Di scaricare decine di tanghi e ascoltarli allo sfinimento. Di andare, ovvio, a Buenos Aires. Di pensare, in ogni situazione, non cosa farebbe Google (mi spiace, Jeff Jarvis: in questo momento, chissenefrega), ma cosa farebbe Max Costa, bellissimo ballerino mondano. No, purtroppo non ballo il tango, ma quando sento le prime note, come diceva un amico che passava la serata appoggiato al muro della discoteca, con un cocktail sempre più tiepido in mano, “Ballo dentro”.
Chiudiamo in bellezza, quella vera, con Pierluigi Cappello. Se mi seguite su altri social avrete visto che ho condiviso molti suoi versi. Azzurro elementare, in particolare, è sempre sul comodino e ogni sera rileggo qualche poesia, come un mantra. Io non sono un’esperta di poesia: so a memoria Montale, mi piace Esenin, adoro la Merini, mi commuovo ancora con Leopardi, sono banale. Ma Cappello mi ha folgorato, di più: non esagero se dico che in certe giornate, un suo verso mi ha ridato forza. Non ho ancora iniziato la sua prima opera in prosa, Questa libertà , una sorta di autobiografia, ma sono molto curiosa di vedere come ha tradotto il lirismo in racconto. Intanto, voi leggetelo. Fa bene.
Bel post, grazie Blimunda!
Fra l’altro, permettimi una nota personale: ho incontrato e intervistato Pierluigi Cappello, a casa sua, quasi un anno fa. Ne è nato il servizio giornalistico di cui sono più felice (merito tutto suo, ovviamente). Cappello è un poeta meraviglioso, ma soprattutto una persona adorabile. Ho letto e riletto “L’autostrada”, trovando in poche, dolenti parole tutto il dolore di un Friuli entrato nella “modernità ” in modo troppo rapido e violento. Quanto a “Lettera per una nascita” e al “sì assordante” che è la sua nipotina, davvero, non ci sono parole.
Ciao Vanni, grazie a te. Hai toccato un punto debole, debolissimo. Sempre per la modalità #vecchiazia che ormai fa parte di me, come scrivevo nel post, quella poesia per la nascita della nipotina, ecco, fiumi, torrenti di lacrime ogni volta che la leggo, fosse la centesima. E quell’altra: “i tuoi piedini nel sole”. Quanta bellezza, davvero.
Ma dov’è il tuo pezzo su Cappello? Si può vedere online?
Ecco il collegamento:
http://www.imagazine.it/news/264#.UlsFIFB7KSo
…e grazie di cuore.