La storia di Maria

Questa è Maria, che nel 1926 aveva tre anni. Come mia figlia oggi.

Questa è Maria, che a tre anni si ritrovò orfana di madre e con il padre fresco di seconde nozze. E come nella migliore tradizione delle favole, il padre si era risposato con una donna che di Maria non voleva proprio saperne. Però questa non è una favola, è la storia di Maria.

Maria a tre anni, dietro le insistenze della matrigna, e con un padre che probabilmente (proprio come nelle favole) era troppo debole, troppo menefreghista o troppo plagiabile per opporsi, fu portata al convento di Daylesford, stato di Victoria, Australia. Immagino con una piccola valigetta di abitini, un silenzio stretto nel cuore e tanta paura, soprattutto quando avrà visto suo padre allontanarsi. Ma, sempre immagino, non avrà detto niente, non avrà pianto. Allora non usava che i bambini esprimessero emozioni, i bambini tacevano e subivano le decisioni degli adulti.

Questa è Maria che da quel giorno, tutte le domeniche, indossò gli abitini della festa, il cappellino, il soprabito sopra il braccio, proprio come la vedete qui sopra. E si sedette sui gradini, fuori dal convento, ad aspettare che suo padre venisse a trovarla. La domenica giorno del Signore, giorno di visite.

Suo padre non venne mai. Lei mai lo rivide.
Le suore le dicevano, Maria, rientra che fa freddo, lei stava lì, con il cappellino, il soprabito. Maria crebbe da sola in convento e continuò, domenica dopo domenica, a sedersi sui gradini. A vedere le altre bambine insieme ai padri, le madri, genitori costretti a lasciarle “dalle suore”, come si diceva, ma che appena potevano andavano a trovare le loro figlie abbandonate per necessità, magari per sempre, magari solo in attesa di tempi migliori.

A diciott’anni Maria non prese il velo. Uscì dal convento, si sposò, ebbe dei figli. Riuscì ad avere una vita normale, almeno in apparenza.

La storia di Maria me l’ha raccontata Tina Banitska, una magnifica signora di origini greche che anni fa ha trasformato il convento di Daylesford abbandonato in una splendida galleria d’arte.
Poi mi ha portato nei sotterranei, nella stanza riservata alla preghiera e lì, tra cuori trafitti di Gesù, rosari consunti, volti scavati di santi e odore di sacrestia, mi ha fatto vedere la foto di Maria, quella che vedete qui sopra.
E non poteva che finire così. Che a guardare quella bimba compunta, inutilmente vestita a festa, gli occhi buoni che s’indovinano sotto la cloche, ho pianto come una vite tagliata. Ma d’altronde l’ho già detto che dopo la gravidanza ho subito una metamorfosi lacrimevole che sta perdurando ben oltre il lecito e consentito momento dello squilibrio ormonale.

Tina ha incontrato Maria un paio di anni fa. Ha trovato una donna pacificata, senza recriminazioni da fare, rivendicazioni da avanzare, senza un briciolo di astio. E le ha fatto la domanda che le hanno fatto tutti.
“Perché, Maria? Perché dopo tante domeniche passate ad aspettare un padre che non arrivava mai, continuavi a farlo?”
“Perché se non avessi avuto nemmeno più la speranza, sarei morta”, ha risposto lei. “Invece sono sopravvissuta, mi sono sposata, ho avuto dei figli. Invece ce l’ho fatta”.

E tutto questo per dire che il prossimo che mi tedia con la sua storia di infanzia infelice e tenta di giustificare ogni mancanza, ogni prepotenza, ogni fallimento addossando la colpa ai genitori che non gli hanno comprato la bicicletta, ai parenti distratti, al fratello che lo faceva sentire inadeguato, al professore di matematica che ce l’aveva con lui, al capo che non l’ha mai valorizzato, io gli sputo in un occhio.

 

29 thoughts on “La storia di Maria

  1. Sputagli grosso, ché solo a pensarci (a leggere il tuo post) mi sono venuti dei goccioloni tanti, e mi devo aggregare.

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  2. Io confesso che per smettere di singhiozzare ho pensato alla Soncini che mi guardava disgustata. Non riuscivo più a fermarmi. Che vergogna. La direttrice della galleria continuava a dire, you’re so sweet, ma sospetto abbia scritto all’ente del turismo per chiedere loro che razza di giornaliste psicopatiche mandano in giro.

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  3. si puo sempre scegliere cosa fare nella vita,
    scegliere di piangersi addosso o scegliere di lottare.
    se si crede che non ci sia scelta c’è imho, una immensa schiera di stimati professionisti abilitati a tirare la gente fuori dal pantano.
    basta scegliere di andarci.
    perchè anche decidere di non scegliere è una scelta.
    sia chiaro.

  4. @blimunda il mio commento da te nonè un flame. è solo un contro piagnismo. [ce di piagnistei mi sono un po scocciata]

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  5. Dividere il mondo in persone forti e persone che hanno bisogno di un terapeuta forse è un po’ troppo bianco-nero.
    Siamo tutti persone imperfette: alle volte siamo forti, alle volte siamo deboli, alle volte ce la facciamo e altre no, in alcuni casi aiutiamo e in altri siamo aiutati.

    Sono troppo poetico in questo 17 marzo.

  6. susan, non l’ho assolutamente visto come un flame, e anche il mio post era contro tutti quelli che si piangono addosso.

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  7. [scusa la specifica ma con gatto sono un po prevenuta su flames e dintorni[]

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  8. @gatto, tu alle volte sei debole. io alle volte sono debole e anzichè rodermi, rotolarmi nel male, io vado dal terapeuta.
    non è mica che andare dal terapeuta è disdicevole o da pazzi da internare. a volte la vita è piu forte di noi [di tutti noi]
    più forte dei forti e più forte dei deboli.

    se lo il mal di testa prendo l’aspirina,
    se ho il mal di denti prendo un antidolorifico
    se ho il mal di vivere vado dal terapeuta
    sono sana e non ho paura di capire quando la vita è oltre le mie possibilità, quindi serenamente mi faccio aiutare.

  9. i bambini lo fanno. Io l’ho fatto. E’ pieno di figli di genitori divorziati che, domenica dopo domenica, se ne stanno vestiti di tutto punto ad aspettare un genitore che non arriva. Sopravvivere alla propria infanzia è diventare adulti, tutto qua.

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  10. e cmq il pregiudizio che i forti non hanno bisogno del terapeuta mi fa veramente ridere.

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  11. bisognerà che trovi il modo di farne un reddito. tipo mi faccio degli autoscatti in cui guardo truce, in comode stampe a misura di portafoglio.

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  12. OT:

    [scusa la specifica ma con gatto sono un po prevenuta su flames e dintorni]

    Però alle volte i “e che due coglioni” me li tirate proprio dalla bocca.

    IT

    pm10, io non sono contro i terapeuti. Anzi: servono. Ma come con le medicine: non bisogna abusarne.
    Ne faccio un discorso generico, perché i casi non li conosco (e non è importante conoscerli, credo).

    Io sono contro l’uomo-monolite, l’uomo perfetto. L’uomo che lotta contro le avversità senza una minima debolezza. Non esistono: tutti abbiamo i nostri fallimenti e le nostre forze.
    Questo rientra nello standard, e finché si è nello standard non c’è bisogno di un terapeuta (così come non si prende un antibiotico per un raffreddore di un giorno).
    Credo – ma mi guardo bene dall’affermarlo con certezza: è solo un’opinione – che spesso il terapeuta venga utilizzato come un subappalto analitico. Viviamo in una società che non ci dà più il tempo, né lo stimolo/coraggio/premio, per analizzarci.
    Ci sono problemi che non hanno bisogno di un terapeuta, semmai di un buon amico con cui discutere e che ci aiuti a riflettere su noi stessi. Ce la possiamo fare anche da soli (e su questo sì, si è “forti”). Poi ci sono altre matasse che no, non possiamo districare senza l’aiuto di qualcuno bravo.

  13. Lia, sì, ma alcuni non diventano adulti o diventano adulti pieni di recriminazioni.

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  14. prevenuta su flame significa che se ho a che fare con qualcuno facilmente infiammabile, ecco divento prevenuta. ma è sicuramente un problema mio.

  15. pm10, è stata un’uscita gratuita e di sicuro non ti mette in una buona predisposizione d’animo venir tacciato come flamer a prescindere. Continuate ad appiccicarmi etichette che non sono mie anche a distanza di mesi, ma vabbè. Le parole pesano, però.

    Io, comunque, quello che avevo da dire sul post di Blimunda l’ho detto. Credo civilmente. Ora mi cospargo di benzina e volo via in una nuvola d’etanolo, a mangiare qualcosa. Ciao.

  16. in linea di massima sono d’accordo con quello che scrivi,
    non prendo l’antibiotico per il raffreddore,
    ma di sicuro prendo l’antidolorifico per un forte mal di denti,
    poi magari non lo prendo per i dolori mestruali che so che posso sopportare sa sola.

  17. @gatto, ho ti ho tacciato di essere un flamer a prescindere.

  18. nella foga di giustificarmi : il primo “ho” è un “non”.

  19. d’accordissimissimo
    (e purtroppo faccio parte anch’io del gruppo di quelle che non si sono mai riprese dalla *botta* di ossitocina – easy tears, che ci vuoi fare – puzza meno del sudore imbarazzato, cmq)
    blimunda, scrivi di piú :)

  20. @slavina, mi piacerebbe, ma ultimamente sto lavorando troppo (scrivendo!) per riuscire a scrivere anche per hobby. Purtroppo.

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