Post post parto: l’ospedale

Le compagne di stanza
La moglie di Pino dei palazzi (vedi post precedente) è stata sostituita da una filippina che ha messo nella culla del figlio neonato il testo di un Salmo e ha due modalità di comunicazione: o salmodia (appunto) al povero bambino inconsapevole canti di gloria al signore, in inglese, oppure parla con me in italiano con la voce e l’accento di Marco Marzocca- Ariel. Sono decisamente capitata nel backstage di Zelig, prima o poi qualcuno me lo confesserà.

La convalescenza
Ferma a letto un giorno e mezzo, piena di aghi e fili. Durata percepita, come ho già detto, un mese minimo. Per fortuna mi portano la bambina che, passato il primo momento di incazzatura seguito alla brusca estrazione, è un angelo. Mi dicono, “Attaccala al seno” e io l’attacco. Mistero dei misteri: io non ho mai tenuto in braccio un neonato prima d’ora e lei non è mai stata fuori dall’acqua, né ha mai usato questo sistema per nutrirsi, ma appena si avvicina l’aggancio funziona alla perfezione. Miracolo. Per il resto, amo le droghe che mi sparano in vena: sento pochissimo dolore e appena riesco ad alzarmi sto subito meglio, soprattutto psicologicamente.

I gruppi etnici
Proliferano sia le infermiere che le pazienti straniere. Interessante dal punto di vista sociologico è che ogni infermiera straniera ha un occhio di riguardo per il suo gruppo etnico. Sudamericane per sudamericane, filippine per filippine etc. Portano l’acqua, curano di più i pasti, sono molto presenti. Le italiane come me sono allegramente ignorate dalle infermiere straniere e dalle italiane, per par condicio. A proposito di gruppi etnici, riesco a fare la gaffe del secolo: tormentata dalla solita, impossibile temperatura tropicale dell’ospedale, sbuffo: “Fa un caldo africano” in presenza di una bellissima infermiera color ebano che sembra discendere direttamente dai Masai. La quale, con aplomb britannico, mi spiega che in Africa il caldo è secco e piacevole, non umido e malsano come dentro l’ospedale. Annuisco contrita, con gli occhi bassi.

Le puericultrici
O meglio, le PLURIcultrici come le chiamava Pino dei palazzi. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli se perché erano tante o perché si occupano di molti bambini. Comunque, dovrebbero essere lì apposta per aiutare le neomamme, soprattutto quelle imbranate come me. In realtà sembra che il loro lavoro consista nel farci sentire tutte delle perfette imbecilli inadeguate, comprese quelle al terzo figlio. Ogni cosa che facciamo è sbagliata, se cambiamo il bambino andava lasciato stare, se non lo cambiamo è colpa nostra perché piange, se non andiamo a prenderlo subito non appena apre la nursery ce lo scodellano in camera con lo sguardo accusatore riservato a chi trascura il sangue del suo sangue, se qualcuna si dispera perché non ha latte la fulminano con un “Cosa state lì a impazzire, dategli quello artificiale che fate prima” (mi viene voglia di denunciarla alla temibile Leche League), se stanno chiacchierando fra di loro e le interrompi per chiedere una cosa, sbuffano e rispondono con sufficienza. Insomma, delle vere amiche.

Le madri
L’ho già detto tante volte: le madri sono di una noia mortale. Sono madri da un giorno e già riescono a parlare per quaranta minuti di fila della consistenza delle feci, delle scuole di pensiero pediatriche e delle tecniche più all’avanguardia per medicare il cordone ombelicale (roba per stomaci forti, ve lo assicuro, visto che devo farlo due volte al giorno). In alternativa, vanno forte i soliti racconti splatter sul parto, resi ancora più truculenti dal fatto che detto parto è appena avvenuto e i dettagli sono belli freschi, pronti per essere condivisi. Emorragie, contrazioni, spinte, episiotomie, anyone? Servitevi.

I padri
Hanno sprecato fiumi d’inchiostro sui nuovi padri: presenti, affettuosi, intercambiabili con le madri, cambiapannolini eccetera (uno degli ultimi contributi qui). Vederli all’opera nei corridoio dell’ospedale e dentro la nursery, però, è un’altra cosa. Magari un po’ goffi e impacciati con quei neonati minuscoli che in braccio a loro sembrano ancora più piccoli, ma teneri, partecipi, orgogliosi. Molto più simpatici di quelle madri nevrotiche che piangono sul latte (non) versato. Ora, non so se poi una volta a casa seguiranno il malcostume italico e se ne fregheranno di tutto, però nel momento post parto hanno difeso egregiamente la categoria.

6 thoughts on “Post post parto: l’ospedale

  1. Ho varie considerazioni da fare: un’amica che ha partorito nel tuo stesso ospedale 3 mesi prima di te e non aveva latte, l’hanno fatta insistere fino allo sfinimento, finchè è arrivata a casa col bimbo mezzo morto di fame (e lì ha cominciato col latte artificiale).
    Poi: non è che ti sparavano troppa droga in vena e ti sembrava di essere a Zelig?? (ora non potrò più vedere Pino dei Palazzi senza immaginarmelo con la culla che fa le penne davanti alle infermiere ;-))

  2. negli stati uniti, se non ci sono complicanze in ospedale per un figlio ci stai un giorno, il giorno dopo sei a casa, e ti eviti tutte quelle menate tipo infermiere PLURIcultrici ect ect….. benefici dell’economia assicurativa:)

  3. Per quanto mi riguarda, concordo pienamente con i tuoi commenti su madri, padri e puericultrici.
    Non hai parlato delle ostetriche. Nel mio caso, una sola parola……….ECCEZIONALI!!!

  4. concordo sul plauso alle ostetriche. tutte straniere, dove ho partorito io, e proprio brave.

  5. je: dici che ero in overdose da antidolorifici?
    Le ostetriche sì, brave anche se non tutte. Però decisamente sopra la media dell’ospedale :-)

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