Judith Levine è una scrittrice americana che per un anno non ha fatto shopping. Ossia, ha acquistato solo beni di prima necessità , tagliando, oltre alla sua Visa, tutte le spese superflue. Ha iniziato perché un sabato sera, tornando nella sua casa di Brooklyn dopo il classico pomeriggio di shopping selvaggio, si è vista carica di sacchetti, pigiata nei mezzi pubblici tra gente altrettanto carica di borse e buste griffate. E in un momento di lucidità ha detto basta.
Dalla sua esperienza ha tratto un libro, che uscirà il 12 maggio in Italia, per i tipi di Ponte alle Grazie col titolo di Io non compro (ma l’originale Not buying it, che gioca sul doppio senso di “non lo compro” ma anche “non la bevoâ€, è molto più efficace.)
La sento per un articolo, ma siccome lei è molto simpatica e generosa, mi regala un sacco di materiale per capire (ed eventualmente ripetere) la sua esperienza no-shopping.
Cosa ti è mancato di più in questi 12 mesi?
Direi il lato culturale e sociale dello shopping. Teatro, locali cinema…e il noleggio dei Dvd! Mi è mancato molto non andare a vedere i film di cui tutti parlavano, come Farheneit 9/11 di Michael Moore. Mi sentivo tagliata fuori da ogni discussione. Però alla fine anche con gli abiti e il makeup è stato un problema. I maglioni iniziavano a essere lisi sui gomiti, il mascara era secco, le matite per gli occhi
ridotte a mozziconi; alla fine è uscita fuori una nuova identità : bohémienne, un po’ arruffata, ma finalmente me stessa.
Però confesso che le due uniche volte che ho trasgredito, è stato per acquistare abiti!
Nel tuo libro scrivi che non spendere ha fatto di te “un’asocialeâ€. Hai perso degli amici durante questi 12 mesi? Oppure tutti hanno capito il tuo progetto e ti hanno sostenuto?
La maggior parte dei nostri amici (Judith ha coinvolto nel suo anno senza shopping il compagno Paul, N.d.A.) si è appassionata al nostro progetto. Molti di loro erano già contro il consumismo e sensibili alle tematiche ambientaliste. Alcuni ci hanno ammirato. Altri hanno pensato che
fossimo pazzi! Ma la cosa più divertente è che tutti volevano comprare qualcosa per noi, o ci volevano portare fuori a cena o al cinema. Noi però siamo stati irremovibili. Niente divertimenti e cene solo a casa.
Pensi che un anno così sia più difficile da compiere negli Usa che in Europa?
No, gli europei non sono necessariamente meno consumisti degli americani. La differenza è che negli Stati Uniti ci sono davvero pochi intrattenimenti gratuiti. Tutto è privato, e anche i parchi nazionali e i musei stanno diventando sempre più costosi. In più, non ci sono
praticamente attività che puoi fare negli States senza spendere. Se fai
un picnic, devi acquistare piatti colorati e un bellissimo cestino. Se
vuoi fare sport, ti senti in dovere di comprare le attrezzature più
nuove o moderne. In Europa non è necessariamente così.
Cambiare attitudine verso i consumi ha significato per te anche
cambiare modo di informarti, in modo da evitare di essere sommersa da messaggi
consumistici? Credi nei blog ( e più in generale, nel web), come un
medium più democratico e libero da condizionamenti, che aiuti a “battere
il sistema�
In un certo senso, non si può “battere il sistema†davvero. Tutte le
culture sono tenute insieme da scambi di oggetti, servizi ed
esperienze.
Nel capitalismo, la maggior parte delle cose sono scambiate per denaro.
Per avere delle amicizie, una vita familiare e professionale,
partecipare alla vita sociale e politica o addirittura avere una
identità personale, devi comprere cose.
Detto questo, puoi comprare
meno e meglio e sopravvivere benissimo. I nuovi media ci aiutano in questo.
Ci permettono di comunicare al di fuori dell’arena commerciale e,
ancora più importante, al di fuori del pensiero politico e culturale
conformista.
Ma ovviamente, io sono una scrittrice; voglio essere
pagata per il lavoro che faccio. E quindi anche i media vanno pagati.
Quando il tuo anno “no shopping” è finito, cosa hai comprato per prima
cosa?
Ho noleggiato sei film che avevo perso!
Questa sorta di vacanza dal consumismo ha cambiato il modo in cui fai i
tuoi acquisti, o sei lentamente ritornata allo shopping frenetico?
Ha cambiato decisamente il modo in cui io e Paul consumiamo.
Ad esempio, non andiamo più a cena fuori perché abbiamo fame, ma solo
per il piacere di essere serviti per una sera, o per provare magari una
cucina etnica.
Per quanto riguarda gli abiti, però, prima di iniziare il tour per promuovere
il mio libro, ne ho comprati così tanti che la Visa mi ha chiamato per
sincerarsi che non mi avessero rubato la carta di credito!
Si direbbe che da un eccesso è passato all’altro. Secondo me in tutto ci dev’essere equilibrio e un minimo di razionalità: comprarsi un intero negozio di vestiti è sbagliato almeno quanto andare in giro tutti stracciati (a meno che uno/a non faccia il/la barbone/a).
Così per andare a mangiare fuori: non tutte le settimane, ma andare a mangiare una pizza ogni tanto (1 volta al mese? ogni due mesi?) con gli amici o andare al cinema non lo chiamerei proprio consumismo. E’ soltanto un modo per divagarsi, rilassarsi, fare qualcosa di diverso dal solito.
Molto interessante comq. la segnalazione e complimenti per l’intervista!
Bella l’intervista e interessante l’esperimento, certo un po’ estremo! Però forse sono proprio le esperienze così fuori dagli schemi a restare più impresse. Non sono d’accordo sul considerare “beni superflui” il cinema e i libri, secondo me nutrire la mente è indispensabile come lo è mangiare. Un esperimento che si potrebbe fare, meno estremo ma secondo me più utile, potrebbe essere quello di comprare “ragionato” per un mese, evitando quello che è davvero superfluo e riflettendo sulla provenienza di ciò che compriamo.
E un’altra cosa interessante che emerge dall’intervista: la mancanza di spazi di incontro gratuiti negli Stati Uniti. Stanno diventando sempre meno anche qui, per questo secondo me è importante non sottovalutarne l’importanza e lottare per mantenerli. Le Botteghe del Mondo, i centri sociali, i circoli, i centri di aggregazione giovanile sono uno spazio importantissimo, specialmente per i ragazzi che hanno pochi soldi in tasca e molto bisogno di stare insieme.
Abbracci
Laura
Complimenti per l’intervista! Certo l’esperimento di Judith è estremo, non finalizzato a vivere tutta una vita davvero in quel modo! Le è servito a spendere in modo più consapevole, cosa che dovremmo fare tutti riflettendo sulla reale utilità di ciò che compriamo. Come Laura, sono rimasta stupita che tra le privazioni ci siano state anche cinema e teatro e anche le uscite con gli amici. Dev’essere stata davvero dura!
Si anche io sono d’accordo che l’esperimento “estremo” serva soprattutto a fare parlare della cosa. Dal mio punto di vista, sarei già molto felice se riuscissi a limitare lo shopping di abiti e scarpe. E’ lì che faccio i veri danni. A volte (poche) ci riesco: basta davvero non comprare subito, d’impulso. Se lascio passare mezza giornata, di solito poi non ci penso più. Ergo, pensandoci a posteriori, la maggior parte delle cose che acquisto potrebbero essere evitate. Non toccherei mai libri, musica e uscite, però. Quelli sono sacri!
non l’hanno ancora fatta fuori ?
Addirittura fatta fuori? E dai, che ha ricominciato subito a comprare…